99 Posse: coerenza e coscienza
99 Posse: coerenza e coscienza
Avrebbe certo potuto intimorirmi, o quantomeno intimidirmi, trovarmi a colloquio con quattro elementi dei 99 Posse, sebbene la gentile compostezza di Massimo Jovine (JRM) e la grintosa grazia di Maria Di Donna (Meg) sembrassero fin dal primo impatto controbilanciare i fieri cipigli di Marco Messina (Kaya Pezz8) e Luca Persico (‘0 Zulù): non solo per via della loro reputazione di “gente difficile”, ma anche perchè, fino a questa mattina pre-estiva a pochi giorni dall’uscita dell’ottimo La vida que vendrà (n. 395), i mie rapporti con l’ensemble napoletano si erano limitati a saluti e brevi scambi di battute. Grazie alla simpatia e al desiderio di spiegarsi del poker di intervistati, però, la pur lieve sensazione di “disagio da accerchiamento” é subito scomparsa, lasciando il posto a un clima di rilassata cordialità; al punto che probabilmente, in assenza di altri impegni, la conversazione si sarebbe protratta per ore, rendendo ancor più complesso il già gravoso impegno di sinterizzare e ordinare in una sequenza coerente di domande e risposte i tanti argomenti affrontati con le voci che si accavallavano le une alte altre.
Con Corto circuito (n. 310) i 99 Posse hanno raggiunto l’affermazione su vasta scala. La mia tesi, comunque, é che questo successo sia stato più “trovato” che non “cercato”.
(Massimo) Noi siamo cresciuti con il tempo. Siamo nati con un fenomeno forte, seguito con attenzione e curiosità, che stava sviluppandosi dal basso e affondava le sue radici nei centri sociali e nelle università. Oggi purtroppo il circuito “parallelo” si é indebolito e per una seria propaganda si utilizzano mezzi convenzionati come i video e i singoli per le radio, ma é innegabile che la spinta dell’underground abbia portato qualcosa di diverso nelle multinazionali in termini sia di scelte artistiche che di approccio al business.
(Marco) Almeno all’inizio, i discografici non sapevano affatto trattare la nuova musica: il marketing dei Casino Royale, per esempio, era curaro dalla stessa persona che seguiva quello di Ramazzotti. L’atteggiamento delle major nei confronti della scena italiana era molto cambiato tra il ’90 e il ‘95, mentre da un pò: si ingaggiano band che non lasceranno nessuna traccia, da sfruttare per una stagione o due, mentre noi siamo approdati alla BMG solo dopo una lunga gavetta…
(Massimo) Un ventenne che passa direttamente dal pub sotto casa ad un contratto con una multinazionale rimarrà spaesato e perderà quello che dovrebbe essere sempre alla base della sua attività - la semplice voglia di suonare - a favore di logiche che non hanno nulla a che vedere con la musica. Dieci anni fa, se ci offrivano un concerto fuori Napoli, prendevamo il treno - con i biglietti falsi, perché non avevamo una lira - senza sapere se e dove avremmo mangiato o dormito o come e quando saremmo ritornati. Ora ci sono tanti gruppi anche bravi e con cose interessanti da dire che però mancano di questo genuino e selvaggio piacere di suonare: li inviti e loro cominciano a farti domande sull’autista, l’albergo, il ristorante... Non é sbagliato in assoluto, perché non bisogna farsi sfruttare da chi si approfitta della passione altrui, ma non si deve nemmeno cadere nell’eccesso opposto.
Mi sembra che voi siate riusciti a trovare un punto d’incontro: molte date, ma a prezzo “politico”.
(Marco) Ci poniamo il problema di quanti ragazzi possono permettersi di spendere trenta o quarantamila lire per un concerto. Lo stesso criterio é applicato ai dischi, per i quali imponiamo un prezzo di 29.900 lire.
(Massimo) E’ una questione di etica: chi pretende di diffondere messaggi di un certo tipo non può, nella pratica, rinnegarli, ma deve sforzarsi di armonizzarli con ogni situazione. Ci teniamo ai nostri principi: non siamo diventati i 99 Posse pensando a una “carriera” ma solo a quello che ritenevamo di dover dire.
Comunque adesso la “carriera” c’è. Senza rifletterci su, cosa viene in mente a proposito del nuovo album?
(Massimo) Questo è il primo disco nel quale sentiamo di aver compiuto un passo in avanti in quanto a professionalità e approccio mentale. A differenza degli altri, questo lavoro si è basato sull’organizzazione e sul coordinamento intero, a cominciare dalla ricerca dei suoni e dalle pre-produzioni delle voci.
Vi sentite addosso responsabilità maggiori?
(Luca) I precedenti mancano tutti di qualcosa. Curre curre guagliò non era nemmeno stato concepito come album, era una raccolta di pezzi di battaglia; il rapporto con i Bisca, escludendo l’esperienza live, é stato fallimentare: noi tiravamo da un verso e loro dall’altro, e alla fine Guai a chi ci tocca non ha soddisfatto nessuna delle parti in causa; Cerco tiempo e Corto circuito erano entrambi il frutto di un gran desiderio di fare ma sempre con l’idea di prendere quel che c’era e provare a metterlo assieme. Fino a ieri Meg e io scrivevamo ognuno per conto suo, mentre in questo caso abbiamo scelto a priori i temi da affrontare.
(Massimo) C’è da considerare che per Cerco tiempo, dopo la conclusione della storia con i Bisca, avvertivamo l’esigenza di qualcosa che fosse nostra al 100%, mentre Corto circuito è venuto fuori dalla combinazione di due fattori: da un lato la frustrazione per la chiusura della Flying con annesso mancato pagamento delle royalties sulle 80.000 copie di Cerco tiempo, e dall’altro l’entusiasmo, in seguito alla firma con la BMG, di avere a disposizione un buon budget. Con alle spalle un Cd da oltre 150.000 copie vendute, abbiamo ritenuto opportuno riflettere meglio sul da farsi e realizzare l’album che davvero volevamo. Siamo partiti riascoltando centinata di vecchi dischi e selezionando una serie infinita di campioni, di spunti, di sonorità...
La “durezza” di La vida que vendrà è la risposta a chi vi vedeva già sulla strada dello sputtanamento da successo?
(Marco) In realtà non ci siamo preoccupati del “confermare i consensi”, anche se chiaramente sentivamo sulle spalle un pò di peso in più: a modo nostro ci premeva asserire che ognuno, nel suo piccolo, può essere arbitro del proprio destino: il video de L’anguilla, in questo senso, è piuttosto esplicativo. Davanti alla prospettiva di raggiungere 300.000 copie “commercializzandosi”, molto realistica quando se ne sono già vendute 150.000, noi abbiamo preferito cercare di dimostrare che è possibile andare avanti e vivere dignitosamente facendo la scelta opposta: cioèimponendo dischi un prezzo ridotto, fottendosene dei network, facendo passare alle radio un brano che attacca Prodi, Dini, D’Alema, Fini e Berlusconi. In un periodo in cui tutti ostentano amicizia se non fratellanza, e dove tutto sembra essere compatibile con tutto, ci piaceva far vedere che le contrapposizioni sono belle e possono essere anche vittoriose. (Massimo) Più d’uno ci ha detto che La vida que vendrà è molto diverso da come ci si poteva aspettare, e per noi questo è un complimento…non hai idea di quanti tuoi colleghi abbiano chiesto a Meg come mai non c’è una canzone d’amore…
(Maria) Odio quei giornalisti che maliziosamente cercano polemica con domande così stupide. L’equazione “canzone d’amore = classifica” è sbagliata, perché per entrare in classifica una canzone d’amore deve essere una bella canzone d’amore. E poi mi irrita l’idea che, non si sa in base a quale strano ragionamento, i 99 Posse non possano toccare un argomento così universale. Tutti i gruppi di protesta hanno scritto almeno un pezzo d’amore… e, in fondo ogni nostro brano deriva da un sentimento d’amore, anche se magari parla di odio.
(Massimo) Non lo ricorda quasi nessuno ma una canzone d’amore l’abbiamo già fatta: Si tuu, su Cerco Tiempo, che non è stata neppure usata come singolo. E anche Odio o Rappresaglia, seppure fuori dai cliché, sono canzoni d’amore.
(Luca) Mi colpisce che tu prima accennassi allo “sputtanamento”, perché non penso che Corto circuito facesse presagire un futuro sputtanato. Magari era discontinuo, non del tutto a fuoco perché era il prodotto di varie situazioni diverse createsi in studio ed è stato anche assemblato in tempi brevi. Si poteva magari ipotizzare che ci saremmo alleggeriti, ma come dicevamo prima il nostro obiettivo primario è portare avanti un discorso: cerchiamo di farlo anche con i video, sfruttando quei tre minuti che ci vengono offerti dieci volte al giorno in Tv per dire la nostra alla nostra maniera. Altri gruppi, una volta firmata una colonna sonora per Salvatores, avrebbero raddoppiato il cachet, mentre noi abbiamo coinvolto il regista a presentare il film nei centri sociali.
Un ribaltamento della prospettiva, quindi, che avete messo in atto anche con il nuovo disco.
(Luca) Proprio così. Con l’ampliamento dell’audience era fondamentale trovare il modo giusto per comunicare al nuovo pubblico quanto questo cazzo di mondo in cui viviamo ci stia stretto e come secondo noi si possa inventarsene un altro. Il nodo è: come si fa a raggiungere persone quasi prive di cultura politica come i ragazzi più giovani, visto che i dischi li comprano soprattutto loro? La vida que vendrà è la risposta, o almeno speriamo lo sia.
(Marco) Non è una cosa da poco: noi non ci siamo mai sentiti un’entità “singola” ma una componente di un movimento, e quando nel ‘95/’96 questo movimento si è trovato in una fase di riflusso, e i suoi simpatizzanti si sono sensibilmente ridotti; abbiamo capito che bisognava ragionare in maniera diversa? Non cavalcavamo più un’onda assieme a tanti surfisti ma eravamo soli, o quasi, in mezzo al mare.
E il mare era pure in tempesta…
(Marco) Esatto. Corto circuito ha un pò’ risentito di quel particolare momento, mentre qui ce ne siamo fottuti del riflusso e abbiamo ripreso coscienza del nostro ruolo e delle nostre priorità.
(Luca) In giorni in cui la Sinistra, anche quella antagonista, ritiene più importante litigare con l’altra Sinistra che pensare alle esigenze dei proletari, ci siamo assunti la responsabilità di dire ciò che andava detto. Abbiamo smesso di parlare solo ai compagni militanti e ci siamo voluti rivolgere alla gente normale, che vive i disagi nel quotidiano.
Insomma, la “canzone politica” ha ancora una sua funzione.
(Marco) Ed è più importante di prima. Le contraddizioni sono sempre esistite, però vent’anni fa uno sfruttato sapeva di poter vivere un giorno in un mondo migliore perché c’erano tanti altri sfruttati come lui che lottavano verso questo obiettivo. Allo stesso modo, se un operaio veniva licenziato sapeva di poter contare sulla solidarietà degli altri operai della sua fabbrica, e se una fabbrica veniva chiusa era scontato che le altre fabbriche sarebbero scese in piazza contro la chiusura. Oggi chi fa parte del lato vincente delle contraddizioni – il sistema, il capitale, le grandi concentrazioni economiche – ha fatto si che tutto ciò sembri ridicolo e futile. E’ la guerra tra disgraziati, il taxista che si arrabbia con il camionista perché sciopera…
(Massimo) E chi prova a impegnarsi in prima linea per la qualità della vita viene preso per il solito scoppiato post-comunista fricchettone del cazzo, ma la qualità della vita è la cosa più importante di tutte.
(Luca) Affermando che con il lavoro interinale “non si può sognare un futuro” ti sentirai rispondere "ma dai, ancora a sognare un futuro… qui bisogna produrre, rimanere al passo con l’Euro”.
(Marco) non si lotta più per migliorare la propria condizione di lavoro ma per lavorare, e proprio questo motivo c’è ancora più bisogno della canzone politica come strumento per opporsi a questo meccanismo che diventa sempre più perfetto e diabolico. Oggi nei quartieri poveri trovi i ragazzini che oltre ad avercela con gli extra- comunitari vivono la musica non come organizzazione e confronto ma come fuga, sotto forma di techno e con la pasticca vicino.
Entro certi limiti può anche andar bene – in fondo anch’io, ai miei tempi, sballavo con Aoxomoxoa dei Grateful Dead – ma c’era un’altra consapevolezza e si trattava di qualcosa di propositivo da vivere assieme ad altri. Comunque preferisco essere considerato fuori moda, come ironizziamo in Comuntwist, piuttosto che rinunciare ad essere me stesso.
A proposito di radici: secondo voi, avreste potuto nascere in un posto che non fosse Napoli?
(Massimo) Beh, siamo lo specchio della realtà che abbiamo ogni giorno sotto gli occhi. In Veneto, ad esempio, uno dei punti più battuti dai compagni è la riduzione degli orari di lavoro: a Napoli, visto il folle tasso di disoccupazione, la cosa suonerebbe alquanto bizzarra.
(Luca) Inoltre esistono analogie strutturali e tecniche tra la musica del Sud e il nostro stile fondamentalmente elettronico. Fare riferimento alle nostre radici ci viene naturale prendi la tarantella, che ha un ritmo battente proprio come la maggior parte dei nostri pezzi, o il reggae e il raggamuffin, che sono per lo più in minore come la più classica musica napoletana. Avremmo potuto essere siciliani o calabresi ma non di Milano o di Verona… cioè, avremmo anche potuto nascere al Nord, ma il suono sarebbe stato frutto di una ricerca e di uno studio e non sarebbe mai stato spontaneo come invece é. E non dimenticare che ogni nostra protesta o invettiva è velata di ironia inequivocabilmente napoletana.
Album dopo album Meg sta acquisendo un ruolo più centrale e questo ha certo contribuito al vostro successo: vi ha come dire, “ingentilito”, visto che una ragazza carina attrae le masse più di un omone tatuato…
(Marco) Beh, Meg è entrata in gruppo già attivo, e quindi è normale che lo abbia fatto in punta di piedi. Quando si è chiarito che lei si trovava bene con noi e noi con lei è stato logico concederle spazio. Non c’era nulla di studiato.
(Maria) Penso che i maschietti, almeno all’inizio, fossero un pò confusi dall’avere nella band una ragazza che componeva parole e musiche. Il “rallentarmi” era giustificato: avevano una struttura precostituita e non potevo certo arrivare e stravolgere tutto. Credo che la loro fiducia nei miei confronti sia diventata totale solo con questo disco. (Luca) Infatti quando ci siamo messi a tavolino a discutere abbiamo parlato anche della divisione dei ruoli nel cantato considerando Meg come di un membro effettivo, in tutto e per tutto alla pari con noi.
In casa 99 Posse regna una rigorosa divisione dei compiti?
(Massimo) No, no. C’è una certa intercambiabilità: io suono il basso, ma non ho registrato tutti i bassi. E Marco, in futuro, vorrebbe anche cantare qualcosa.
(Marco) Le dinamiche sono varie e complesse. In La vida que vendrà, per esempio, il peso di Sacha é notevolmente cresciuto. La nostra rimane una struttura aperta, anche se dopo la collaborazione con i Bisca lo é un pò’ meno di prima.
Benché fortunata, quell’esperienza vi ha proprio segnati in negativo.
(Marco) Incredibile opposizione Tour e Guai a chi ci tocca sono, in sostanza, dischi di Luca che canta con i Bisca, nei quali affiorano sporadicamente nostri contributi. Ascolta Cerco tiempo assieme a Lo sperma del diavolo, il primo lavoro dei Bisca dopo la scissione, e non avrai difficoltà a capire perché ci siamo separati: le idee erano troppo differenti.
(Massimo) Finché ci si é limitati al live, con i pezzi nostri e loro interpretati assieme, c’era un senso. Guai a chi ci tocca, invece…
(Marco) Io non volevo neppure che fosse ristampato…
(Maria) A me sembra un album di Fausto Papetti, non dei 99 Posse.
(Marco) Dei Bisca non ho mai apprezzato una certa rigidità…perché se in un gruppo ci sono un chitarrista e un sassofonista, ogni brano deve per forza contenere assoli di chitarra e sassofono?
(Massimo) A me il disco non piace ma Cildren ov babilon e Tu lo chiami amore sono dei bei pezzi. Però in generale, l’esperienza è stata importante ci ha fatto comprendere sul serio cosa significhi suonare in una band e ci è servita ad allargare il concetto originario della posse.
Essenzialmente, su quali fondamenta poggiano i 99 posse?
(Massimo) In estrema sintesi, sul desiderio di comunicare con la gente facendo sentire la nostra voce. E sull’avere la capacità e la lucidità, essendo comunisti, di fare analisi lasciando da parte gli orgogli e le presunzioni che non possono accompagnarsi a chi davvero vuole portare avanti un discorso.
Che significato date al termine “comunista”?
(Massimo) Beh, D’Alema non c’entra di sicuro.
(Marco) Riporto la definizione di qualcuno molto più importante di me, che a mio parere rimane la più bella e la più azzeccata: “Il comunismo é quel movimento che tende a cambiare lo stato di cose presente”. E io ritengo, al di là di ciò che può dire chi avrebbe convenienze dalla sua scomparsa, che il comunismo esisterà finché ci saranno gli sfruttati, anche se questi sfruttati non sono consapevoli di essere comunisti.
Proporre El pueblo unido degli Inti Illimani voleva essere una specie di “chiamata a raccolta”?
(Maria) Certo. E’ un brano che é compreso nel nostro Dna, e proprio per questo ci siamo sentiti ulteriormente responsabilizzati nell’affrontarne la rilettura: ne abbiamo registrato quattro o cinque versioni, nessuna delle quali ci pareva adatta a rendere il giusto omaggio all’originale. Poi é arrivata questa, aperta dalla chitarra quasi hendrixiana di Pasquale Punzo dei Balaperdida, e finalmente siamo stati contenti.
Cambiando argomento: la fama ha migliorato i vostri rapporti con la polizia?
(Luca) Ti racconto un aneddoto. Un paio di anni fa, mentre stavamo in albergo a Catania, mi arriva una telefonata dalla hall: “siamo i carabinieri, per favore può scendere?” Vado giù impauritissimo, perché all’epoca avevo otto processi in corso e temevo fosse arrivata qualche condanna, e mi trovo davanti un carabiniere con penna e foglietto in mano... voleva l’autografo!
(Marco) Tempo fa, a via Roma, ho visto uno della Digos, uno di quelli che, chiaramente su schiere opposte, incontravo ogni volta ai cortei. Lui fa per salutarmi e io, inorridito, fingo di non vederlo, e lui mi ferma e dice “eh no, tu mi devi salutare”. In pratica, rivendicava una parte dei meriti del nostro successo perché è stata la sua categoria ad ispirarci a comporre certe canzoni.
Comunque le polemiche fanno sempre parte del vostro quotidiano. So che siete in freddo con La BMG a causa di un ringraziamento pesante che vi é stato cancellato dalle note di copertina dell’album.
(Marco) La frase incriminata era “Marco Posse ringrazia tutti quelli che hanno festeggiato la morte di Bettino e tutti quelli che conservano una bottiglia aspettando il turno del suo amico Silvio”. Dall’ufficio legale della BMG ci hanno invitato a eliminarla per evitare grane, ma siamo in un paese democratico dove per fortuna si può festeggiare e augurarsi la morte di chiunque. Voleva anche essere un segnale contro questo insopportabile buonismo ipocrita che dilaga dappertutto.
Però, alla fine, l’avete soppressa. Questo significa che in BMG siete meno “liberi” di quanto avete sempre sostenuto?
(Massimo) No, non millantiamo nulla: possiamo davvero fare quello che vogliamo, ma nel caso specifico abbiamo deciso di evitare lo scontro - in definitiva si trattava di una questione “secondaria” - che avrebbe magari bloccato il disco per chissà quanto tempo. Noi la vediamo come una scorrettezza personale da parte del direttore artistico, giacché eravamo disposti anche per iscritto ad accollarci il peso di eventuali conseguenze. Ci dispiace che questa storia abbia dato adito a illazioni sulle nostre effettive garanzie contrattuali.
Finisce tutto a chiacchiere a ruota libera, e quando Luca mi racconta che un programma di una Tv napoletana presenta uno sketch con un suo imitatore, gli ricordo il “tormentone” a proposito del suo fidanzamento con la Pina con il quale Andrea Scanzi ci ha per qualche tempo sollazzato su queste pagine. “Non é vero!”, dice lui, “ma se la mia ragazza lo viene a sapere, chi mette in giro queste voci passerà un brutto quarto d’ora!”. Bella gente, i 99 Posse: sanno ridere, oltre saper svolgere con coerenza il ruolo di musicisti e rivoluzionari.
Ora e (speriamo) sempre, massimo rispetto.

Federico Guglielmi

MUCCHIO – 11/7/00
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